Schio orinale de Dio. Così dice il saggio. Schio, cittadina di quasi 40.000 abitanti ai piedi del monte Pasubio, è nota per aver dato i natali ad Alessandro Rossi, imprenditore illuminato che ne ha plasmato lo sviluppo traendo energia dai suoi corsi d’acqua per avviare le prime industrie tessili in Italia. Schio ha anche un bellissimo teatro, il Civico, una squadra di volley femminile che milita in serie A. Insomma, Schio è famosa per tante cose, tranne una: il vino.

Che io sappia nessuno si è mai azzardato a piantare viti a Schio, se non per autoconsumo e principalmente di varietà americane. Troppo vero il detto popolare, con le precipitazioni che superano gli 80 mm/mese per almeno sei mesi all’anno.
Ci voleva un visionario per trasformare in vigneto le colline di Santissima Trinità, quartiere popolare di Schio che porta verso la località Poleo (ma qui si parla di altre visioni, o meglio apparizioni). Lo è stato Roberto Panozzo, imprenditore nel settore della ristorazione con un’innata curiosità per le cose nuove e tanti amici desiderosi di sperimentare insieme a lui.

È nato così nel 2012 Maso Tonaj, piccola azienda agricola che concretizza giorno per giorno il sogno di Roberto. Poco meno di un ettaro di Pinot Nero rivolto a sud-ovest con un’inclinazione sufficiente a far scorrere le acque piovane e una brezza che sale dalla pianura verso le montagne a tenere pulita l’aria anche in autunno. Ci ha visto subito dentro Alexander Morandell, vivaista di Bolzano che ha messo a dimora i cloni più adatti di Blauburgunder. La gestione agronomica si avvale della collaborazione di Alberto Brazzale, tra i fondatori del movimento dei canevisti.

La prima vendemmia nel 2013 fatta in casa (con l’aiuto degli amici che già pregustavano gli assaggi) per appena 50 litri di vino. Nel 2014 (per usare un eufemismo, anno non proprio fortunatissimo) la produzione si amplia e comincia ad avvalersi dei consigli esperti di Massimo Dal Lago (azienda agricola Masari, in Valle dell’Agno) che dal 2015 cura la vinificazione. Il salto è netto e si percepisce nel calice dove abbiamo potuto fare una piccola verticale fino alle prove di botte del 2017, che seppur in giovane età presenta un profilo elegante e raggiunge il giusto equilibrio. La crescita è continua e lascia presagire i risultati a cui questo Pinot Nero potrà arrivare con viti un più vecchie e qualche anno di affinamento in più.

Nel 2017 Roberto ha provato anche a vinificare in bianco alcuni filari meno esposti al sole e con acini non perfettamente  maturi. Ha lasciato il mosto fermentare spontaneamente con un risultato lusinghiero che ci auguriamo lo persuada ad estendere il vigneto anche sul versante nord-ovest e prendere la via del metodo classico.

Prosit a Roberto e al suo Maso Tonaj. Ne sentiremo parlare, ne sono certo.